La Formula 1 è sempre stata uno sport molto pericoloso, che troppo spesso ha sottratto la vita ai piloti. Agli albori della classe regina, era comune perdere la vita in una monoposto, ma con il passare degli anni la sicurezza è aumentata, per far sì che queste tragedie non accadano più.
Tuttavia, spesso non è sufficiente. O, peggio ancora, una piccola disattenzione, che può sembrare banale, può portare alla morte di un pilota. Jules Bianchi, dieci anni fa, ci lasciava. Un pilota, un ragazzo che troppo giovane ha perso la vita in una monoposto che avrebbe dovuto proteggerlo.

La carriera di Jules Bianchi
Jules Lucien André Bianchi nacque a Nizza il 3 agosto 1989, disputando 34 Gran Premi di Formula 1 e ottenendo 2 punti.
Nel 2009 fu inserito nella Ferrari Driver Academy; in virtù di un contratto con la casa italiana che gli concesse un giorno di test sul circuito di Jerez, nel dicembre dello stesso anno fu messo alla guida di una F60.
Nel 2012 fu terzo pilota alla Force India, che guidò in diverse prove libere (Cina e Abu Dhabi). Tuttavia, a settembre, nei test per i futuri talenti a Magny-Cours, passò alla Ferrari e ottenne il miglior tempo. Con la Scuderia disputò anche i test sugli pneumatici per la stagione 2014.
Nel 2013 fu ingaggiato dalla scuderia Marussia come pilota titolare. Jules Bianchi dimostrò sin dall’inizio le sue abilità, mettendosi in luce nonostante la scarsa competitività della vettura. Nelle prime tre gare, Bianchi riuscì a precedere sia in gara che in qualifica i piloti della Caterham e il compagno di squadra Max Chilton.
L’apice della sua breve carriera arrivò a Monaco. Nel Principato, infatti, Jules Bianchi dimostrò tutta la sua capacità conquistando i suoi primi punti grazie a un 8º posto (diventato 9° per una penalità di cinque secondi), ma anche i primi punti nella storia della Marussia. Un mese dopo ottenne il suo miglior piazzamento in qualifica nel Gran Premio di Gran Bretagna, con un dodicesimo posto.

L’incidente e il decesso
Jules Bianchi aveva soli 25 anni e una carriera che ancora poteva offrire molto. Tuttavia, il sogno di vestire di rosso Ferrari e vincere con il team di Maranello si fermò il 5 ottobre 2014.
Nel corso del Gran Premio del Giappone, infatti, a causa della pioggia battente, Jules Bianchi perse aderenza, uscì di pista a grandissima velocità e andò a impattare violentemente contro una gru mobile, ferma nella via di fuga per rimuovere la Sauber di Adrian Sutil.
Sin da subito, le condizioni del pilota francese apparvero molto critiche: Bianchi fu trasportato al reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Yokkaichi, e subì un intervento per ridurre un ematoma cerebrale.
Al termine della gara nessuno festeggiò: sul podio si tenne una cerimonia sobria, silenziosa e rispettosa, con tutti a pregare per Jules.
Nonostante tutti i piloti del paddock rimasero sconvolti dall’accaduto, ci fu chi, fin da subito, sollevò dubbi sulla gestione della sicurezza. Felipe Massa, ad esempio, mise immediatamente in discussione le decisioni prese durante la gara:
“Oggi c’è stata senza dubbio poca sicurezza in pista. La gara è iniziata troppo presto perché eravamo dietro la Safety Car ed è finita troppo tardi! Urlavo da ben cinque giri che in pista non si vedeva più nulla, poi è avvenuto l’incidente. Incredibile”.
La FIA decise dunque di istituire una speciale commissione d’inchiesta per indagare sull’incidente. La commissione dichiarò incolpevoli tutti i soggetti coinvolti nell’indagine, incluso il Direttore di gara Charlie Whiting. La relazione della commissione, lunga ben 396 pagine, riassume in 12 punti l’accaduto in pista e le decisioni prese.
Bianchi cadde in coma privo di conoscenza. Dopo le terapie in Giappone, a novembre fu trasportato a Nizza per proseguire le cure. Dieci anni fa tuttavia, il 17 luglio 2015, Jules Bianchi spirò presso l’ospedale di Nizza, dopo più di nove mesi di coma.

Le conseguenze
La morte di Bianchi, la prima in Formula 1 dai tragici incidenti di Roland Ratzenberger e Ayrton Senna nel weekend di Imola del 1994, portò a grandi cambiamenti nella classe regina.
Nonostante le azioni legali intraprese verso la FIA da parte della famiglia Bianchi, e una direzione gara che rimane discutibile, non ci furono conseguenze penali per gli interessati.
Tuttavia, la ricerca della massima sicurezza per i piloti aumentò notevolmente. Nel 2018 fu introdotto l’halo, una struttura in titanio che circonda la parte superiore dell’abitacolo, progettata per resistere a carichi elevati e deviare detriti volanti.
L’halo forse avrebbe salvato Bianchi, ma sicuramente la sua introduzione ha aiutato i piloti a uscire incolumi da incidenti potenzialmente mortali o che avrebbero causato ingenti danni. Basti pensare a Charles Leclerc sulla Sauber a Spa nel 2018, a Lewis Hamilton a Monza nel 2021 o, peggio, a Zhou Guanyu nel GP di Gran Bretagna 2022.
La sicurezza è fondamentale, ma spesso servono anche il buon senso e la capacità di prendere le giuste decisioni per tutelare l’incolumità dei piloti. Proprio nel Gran Premio del Giappone, ma questa volta nel 2022, durante il regime di bandiera rossa a Suzuka, era presente una gru in pista.
L’accaduto allarmò molti piloti, poiché diversi non erano ancora rientrati ai box e, nonostante la velocità ridotta, le condizioni precarie rappresentavano un serio rischio. Tra tutti, Pierre Gasly, che vide spuntare il mezzo sulla sua sinistra in una situazione di scarsa visibilità.
Riguardo l’episodio, fortunatamente senza conseguenze per i piloti questa volta, la FIA rispose così:
“Il comitato di revisione ha riconosciuto che la presenza di gru di recupero in pista a Suzuka durante condizioni meteorologiche avverse è una questione delicata. La commissione ha stabilito che, col senno di poi, dato che le condizioni stavano cambiando, sarebbe stato prudente ritardare l’impiego dei veicoli di recupero in pista.”
A volte, dunque, è necessario valutare attentamente anche i potenziali rischi, oltre alla sola sicurezza delle monoposto.
I risultati in termini di sicurezza sono notevoli, ma spesso ancora non sufficienti. Nonostante la Formula 1 non abbia pianto altre perdite durante un Gran Premio, le categorie minori non possono dire lo stesso.
Anthoine Hubert, pilota dell’academy Renault, durante la Feature Race a Spa nel 2019, perse la vita dopo un gravissimo incidente.
La sua morte è ancora l’esempio che la sicurezza nel motorsport ha ancora molto da migliorare, per permettere ai piloti di sentirsi davvero protetti una volta entrati nella monoposto.
Ovviamente, i progressi fatti negli ultimi decenni sono stati notevoli, ma spesso, purtroppo, non sono abbastanza.









